Sfrattata, malata e senza lavoro l'odissea di una donna di 53 anni

Savona -

Ultima notte con un tetto sulla testa per Nicoletta Trevisan. E da oggi?

marco raffa
savona

Una doppia operazione al cranio, per il trattamento di alcuni aneurismi, che le ha forse salvato la vita lasciandole però strascichi tali da non permetterle lavori faticosi. Esposti alla magistratura rimasti senza esito. Una famiglia «difficile», con un padre naturale di cui si erano perse le tracce, morto quindici anni fa e la cui eredità è svanita nel nulla; una convivenza burrascosa ormai finita; due figli ormai grandi, di cui uno malato; nessuna risorsa economica, né casa né parenti disposti ad aiutarla o anche solo ad ospitarla. 

Un Comune, quello di Spotorno - dove si era trasferita non molti anni fa dopo aver girovagato per motivi di lavoro (e di sfratti) da Varazze a Sassello, da Stella ad Albissola a Noli - che l’ha aiutata fino a ieri, ma non può farlo all’infinito.

Nicoletta Trevisan ha 53 anni e nonostante le traversie della vita non ha perso la voglia di combattere contro le molte sfortune e ingiustizie che si sono abbattute contro di lei. Però ora le forze e le risorse sono arrivate al capolinea. «Il lavoro non mi ha mai fatto paura - dice, sugli scalini del municipio di Spotorno dove ha radunato tutti i suoi effetti personali - e in questi anni ho fatto un po’ di tutto: cuoca, rappresentante, donna delle pulizie, badante, cameriera ai piani, cameriera di sala. Però l’operazione alla testa mi ha devastato, e non sono più in grado di fare lavori pesanti. Per ottenere la pensione ci vuole tempo e pratiche, le sto facendo. Ma intanto sono in mezzo a una strada». 

Il Comune di Spotorno - il sindaco Giampaolo Calvi si è sempre interessato del suo caso - l’ha aiutata finora, e anche ieri, nell’ennesima emergenza, le ha rimediato un tetto per la notte. Ma solo per una notte. Da oggi l’emergenza ricomincia. «Non voglio elemosina, so che hanno tante richieste e hanno fatto molto per me. Chiedo solo la possibilità di lavorare e mantenermi: cameriera, barista, commessa. Posso fare questo. Ridatemi la mia dignità». In questi mesi, Nicoletta ha vissuto grazie alle poche risorse che il figlio malato, lavorando in un centro di assistenza, ha potuto passarle. Gli altri parenti sono spariti: per legge, dovrebbero intervenire, se costretti da un giudice. «Non li sento da anni, abbiamo litigato» dice la donna. Una storia comune a tante altre. Nelle quali, spesso, dal dramma si finisce in tragedia. «Bisognava intervenire prima», allora si dice e si scrive. Appunto.